Nei Soliti Sospetti
gli eventi prendono vita alle spalle di chi cerca di capire e giudicare:
nomi e luoghi esistono solo su volantini, appunti, slogan appesi nella
bacheca dietro l’investigatore Chazz Palminteri.
In Memento Leonard, privo della capacità di
memorizzare fatti e volti per più di qualche minuto, è costretto a
vivere in un eterno presente, e può sperare di dare logica agli
avvenimenti solo attraverso un mondo fatto di appunti, foto, volantini, memoria
scriptae tatuati sull’ultima possibile banca dati personale: il
corpo.
Ciò che rimane è una caccia al tesoro, e nello
scrigno nascosto, una collezione di scatole cinesi. La logica del
racconto implode, e si “espande” dentro di sé: niente più inizio e
fine, ma soprattutto, in ambedue i casi, il senso di tutto si capovolge.
Alla fine le vittime, gli eroi, i buoni,
si rivelano i carnefici, gli antieroi, i cattivi.
O meglio, alla fine c’è l’inizio del sano dubbio nel giudizio, perché
ad essere svelata non è la vera origine degli eventi, ma il meccanismo,
l’inganno celato dietro ogni “storia”: la finzione narrativa dei
ruoli, il gioco delle maschere in cui vive l’arte di raccontare, l’invenzione
più grande della fantasia: il buono e il cattivo come due entità
distinte, rese tali solo dall’abilità di mostrare determinati fatti
invece che altri.
In Memento gli
eventi cambiano in base a quanto più indietro si riesce a tornare, e il
senso delle azioni continuerebbe a cambiare ripetutamente, cosÏ il
giudizio sui personaggi, i “buoni” e i “cattivi”, se il film
durasse all’infinito nel suo procedere a ritroso all’origine del non
sense.
CosÏ nei Soliti Sospetti lo spettatore
insegue il cattivo per eccellenza, Keiser Soze,
la vera impersonificazione del male, attraverso il racconto dello stesso
Soze, il cattivo, senza mai accorgersi della sua reale identità: ma al
cinema nessuno ha una vera identità, dunque il male ha il volto del
povero storpio Kevin Spacey, lui stesso apparentemente vittima di se
stesso: ma ci è dato scoprirlo solo alla fine, così la storia si
annulla, e tutto ciò che è accaduto si capovolge, o si dissolve: cosa
è realmente avvenuto di ciò che si è visto?
In Existenz
la fine del film è la scoperta che il racconto è già iniziato, prima
dei titoli di testa. Ma quando? Allegra Gallager, Ted Pikul: veri,
immaginari, buoni, cattivi: quale il senso dei fatti, del gioco, chi
sono gli eroi, chi i nemici?!
Tutto un secolo di abile cattiveria cinematografica
si libera, come il sangue racchiuso nell’ascensore dell’Overlook
Hotel di Shining,
e si diluisce nel gioco del racconto, frammenti di frammenti che portano
al tilt narrativo e al riavvolgimento su stesso, fino all’origine del
cinema e dell’immaginazione, a partire dalla prima/ultima immagine di Memento:
l’istantanea di un omicidio, quando ancora qualcuno credeva di poter
riconoscere i “buoni” e i “cattivi”.