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FAHRENHEIT 9/11 |
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Michael Moore ha oltrepassato i confini, ed è diventato un caso. Il suo Fahrenheit 9/11 è un documentario che non è un documentario, un film che non è più solo un film, e lui stesso un film maker che è ormai sbocciato a nuove ed innumerevoli vite. Tanto per rovistare nella credenza di casa nostra, il simpatico ciccione con l’orrendo cappellino da baseball (esiste forse, paradossalmente, un’immagine più stereotipata dell’americano medio, a parte ovviamente quella del presidente Bush che fa il cacciatore nella sua tenuta in Texas…?) sembrerebbe un incrocio debordante tra i nostri due outsider Nanni Moretti e Beppe Grillo. Da una parte il cineasta con il tic dei “girotondi” e l’hobby di guastare i comizi in piazza, dall’altra il virus letale della sordida geografia televisiva italiana. Un mix lacerante tra due uomini di spettacolo che, in Italia, hanno raggiunto uno status mediatico da invidia, opinionisti la cui “opinione” pesa davvero sulle masse, più di quella di tanti giornalisti, scrittori e uomini politici. Come Moretti e Grillo, Michael Moore usa l’arma della risata, quella geniale, unica, che prima non ti lascia nemmeno il tempo di sorridere, e dopo si cicatrizza con quel dannato retrogusto di agghiacciante incazzatura. Come loro Moore è decisamente estremo, unilaterale e politicamente scorretto. Scorretto perché è necessario, probabilmente, essere tale per combattere i mostri del nostro tempo, e cercare di attutire la caduta inarrestabile di un qualcosa che all’impatto col suolo farà davvero male.
Michel Moore ha oltrepassato i confini, dicevamo. Di lui si parla da mesi
sui giornali, e non solo nella pagina innocua degli spettacoli. Se ne parla
fin da
Fahrenheit 9/11 esordisce sulla stampa in maggio come possibile caso di censura da parte delle major hollywoodiane: si mormora, infatti, che la Disney si sia inginocchiata alle richieste d’oscuramento di Jeb Bush, fratello del presidente e governatore della Florida, per paura di perdere le enormi agevolazioni fiscali di cui gode il celebre “Disneyland” sito proprio in Florida, ed intimi così alla figliastra Miramax (produttrice del film) di bloccarne la distribuzione. Ma Moore ha fatto quadrato con i boss giusti di Hollywood che, chissà se per etica ideologica o fiuto per gli affari, gli assicurano la distribuzione nelle sale ed una rete di visibilità di cui mai nessun documentario aveva goduto prima. Subito dopo arriva la storica vittoria che Tarantino e giuria gli assegnano al prestigioso Festival di Cannes che, naturalmente, ha un fortissimo peso sul cammino del film. Con la Palma d’Oro in mano, infatti, il mezzobusto del ciccione fa il giro del mondo ed entra nel gregge delle star. Di lì a breve la pellicola si moltiplica nelle sale di tutti gli Stati Uniti ed è, attualmente, seconda negli incassi solo a Spider Man 2, proprio nei giorni in cui Repubblicani e Democratici sono all’ultimo scatto nella sfida per le presidenziali.
Quadro storico a parte, è difficile parlare di Fahrenheit 9/11
facendo finta
Probabilmente la pellicola non
Antonello Schioppa |
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