Home | Back | 20 Centimetri | A History Of Violence | Arrivederci amore ciao | Batman Begins | Be Cool | Clean | Crimen Perfecto | Cursed | Danny The Dog | Donnie Darko | I Fratelli Grimm | Good Night, and good luck | Il Caimano | Immortal (Ad vitam) | Inside Gola Profonda | La foresta dei pugnali volantiLast Days | Le tre sepolture |  Mare Nero | Million Dollar Baby | Natural City | Nuovomondo | Old Boy | Quo Vadis Baby? | Red Eye | Romanzo Criminale | Saw | Silent HillSin City | The Black Dahlia | The Grudge | The Ring 2 | The Woodsman | Viva Zapatero!

In primo piano: Aspettando Abel | Land of the Dead 1, Land of the Dead 2 | Lavorare con lentezza: Recensione, Alice in paradiso, La rivoluzione di chi? | Russ Meyer: L'occhio nel rituale autoerotico, Grazie di tutto(non solo per le tette)  | Tarantino: Kill Bill-Vol.1 , Kill Bill-Vol.2 | XXV edizione del Fantafestival | Speciale Linda Fiorentino: Articolo e Gallery , Filmografia


FAHRENHEIT 9/11

FAHRENHEIT 9/11 di Michael Moore

Titolo originale: id.

Regia: Michael Moore

Sceneggiatura:Michael Moore

Fotografia: Mike Desjarlais

Musiche: Jeff Gibbs

Montaggio: Kurt Engfehr, T. Woody Richman, Christopher Seward

Produzione: Michael Moore per Dog Eat Dog Productioon/Miramax Films

Paese: USA Anno: 2004

Durata: 110’

Distribuzione: Bim

Sito ufficiale: www.fahrenheit911.com

Michael Moore ha oltrepassato i confini, ed è diventato un caso. Il suo Fahrenheit 9/11 è un documentario che non è un documentario, un film che non è più solo un film, e lui stesso un film maker che è ormai sbocciato a nuove ed innumerevoli vite. Tanto per rovistare nella credenza di casa nostra, il simpatico ciccione con l’orrendo cappellino da baseball (esiste forse, paradossalmente, un’immagine più stereotipata dell’americano medio, a parte ovviamente quella del presidente Bush che fa il cacciatore nella sua tenuta in Texas…?) sembrerebbe un incrocio debordante tra i nostri due outsider Nanni Moretti e Beppe Grillo. Da una parte il cineasta con il tic dei “girotondi” e l’hobby di guastare i comizi in piazza, dall’altra il virus letale della sordida geografia televisiva italiana. Un mix lacerante tra due uomini di spettacolo che, in Italia, hanno raggiunto uno status mediatico da invidia, opinionisti la cui “opinione” pesa davvero sulle masse, più di quella di tanti giornalisti, scrittori e uomini politici. Come Moretti e Grillo, Michael Moore usa l’arma della risata, quella geniale, unica, che prima non ti lascia nemmeno il tempo di sorridere, e dopo si cicatrizza con quel dannato retrogusto di agghiacciante incazzatura. Come loro Moore è decisamente estremo, unilaterale e politicamente scorretto. Scorretto perché è necessario, probabilmente, essere tale per combattere i mostri del nostro tempo, e cercare di attutire la caduta inarrestabile di un qualcosa che all’impatto col suolo farà davvero male.

Michel Moore ha oltrepassato i confini, dicevamo. Di lui si parla da mesi sui giornali, e non solo nella pagina innocua degli spettacoli. Se ne parla fin da FAHRENHEIT 9/11 di Michael Moorequando il suo documentario non era ancora stato presentato all’ultimo festival di Cannes. Complice il successo di Bowling for Columbine, il film del 2002 sulla libera circolazione delle armi da fuoco tra gli adolescenti americani, e di Stupid white man, il best seller che inaugura la sua personale guerra al presidente degli Stati Uniti. In più la ciliegina sulla torta finale che lo consacra definitivamente come Don Chisciotte dell’era moderna: il plateale attacco (“vergognati presidente Bush”) che il regista sferra all’uomo più potente del pianeta dalla passerella degli Oscar il 1 marzo 2004 (ecco a cosa servono gli Oscar…!).

   Fahrenheit 9/11 esordisce sulla stampa in maggio come possibile caso di censura da parte delle major hollywoodiane: si mormora, infatti, che la Disney si sia inginocchiata alle richieste d’oscuramento di Jeb Bush, fratello del presidente e governatore della Florida, per paura di perdere le enormi agevolazioni fiscali di cui gode il celebre “Disneyland” sito proprio in Florida, ed intimi così alla figliastra Miramax (produttrice del film) di bloccarne la distribuzione. Ma Moore ha fatto quadrato con i boss giusti di Hollywood che, chissà se per etica ideologica o fiuto per gli affari, gli assicurano la distribuzione nelle sale ed una rete di visibilità di cui mai nessun documentario aveva goduto prima. Subito dopo arriva la storica vittoria che Tarantino e giuria gli assegnano al prestigioso Festival di Cannes che, naturalmente, ha un fortissimo peso sul cammino del film. Con la Palma d’Oro in mano, infatti, il mezzobusto del ciccione fa il giro del mondo ed entra nel gregge delle star. Di lì a breve la pellicola si moltiplica nelle sale di tutti gli Stati Uniti ed è, attualmente, seconda negli incassi solo a Spider Man 2,  proprio nei giorni in cui Repubblicani e Democratici sono all’ultimo scatto nella sfida per le presidenziali.

   Quadro storico a parte, è difficile parlare di Fahrenheit 9/11 facendo finta FAHRENHEIT 9/11 di Michael Mooreche si tratti solo di cinema. Per la sua portata politica e storica è un film che va assolutamente visto, e cercare parole oggettive per delinearne pregi e difetti è fastidiosamente fuori luogo. Nella memoria dello spettatore si incastrano comicità demenziale, tragica poesia visiva (dirompente l’inizio sulla caduta delle “torri gemelle”, raccontate ma non mostrate, pesanti come mai nel loro schianto di dolore), incredibili testimonianze ed irriverenti escursione nella tv americana del dopo 11 settembre. Colpisce, soprattutto, la notevole abilità narrativa che il regista sfoggia nella semplificazione estrema degli intrecci politici ed economici sui quali si inerpica per evidenziare la sporcizia dell’amministrazione Bush e le imbarazzanti ambiguità della guerra in Iraq. Poi c’è la tv del dolore, con lo strazio della madre che piange il figlio morto (forse, francamente, fuori luogo), la panoramica goliardica sulla provincia americana aizzata al terrore dai media, i metodi di reclutamento dei Marines nei ghetti più poveri, quindi l’horror puro della mente dei soldati al fronte, giovani assuefatti all’omicidio che sembrano usciti direttamente dalla follia di Full Metal Jacket. Fahrenheit 9/11, che nel titolo parafrasa il celebre romanzo di fantascienza che Ray Bradbury diede alla luce nel lontano 1953 (Fahrenheit 451), è una strana mutazione cinematografica che inquieta e diverte, ma soprattutto insidia nello spettatore la deforme sensazione di non contare nulla davanti ai grandi scempi che fanno il corso della Storia.

   Probabilmente la pellicola non FAHRENHEIT 9/11 di Michael Mooreraggiunge l’equilibrio e l’efficacia di Bowling for Columbine o la genialità documentaristica del lontano Roger & Me (reportage del 1989 sulla crisi della General Motors che è ormai culto). Probabilmente, checché giù a Cannes dicano il contrario, i soli meriti estetici non sarebbero mai bastati per la conquista della Palma d’Oro. Probabilmente, ancora, Michael Moore prima che un grande regista che assomiglia ad uno stupido americano medio è un intelligente venditore di se stesso che assomiglia ad uno che va in giro a fare film. Ma questa, probabilmente, è un’altra storia. Una Storia che sembra non contare, come quella che la grande informazione non mostra, e che Moore, indiscutibilmente, ha il merito di portare alla luce.

Antonello Schioppa