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Gangs of NewYork :Il Film , Gangs sul set , Hollywood Gangs


 

HOLLYWOOD GANGS

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"Il credo fondamentale del gangster – e, se per questo, di ogni altro tipo di criminale – è che un uomo possiede una certa cosa solo fintanto che riesce a tenersela, e chi gliela prende non fa niente di male, ma semplicemente dimostra la propria astuzia."

(Herbert Asbury, Le Gang di New York, Milano, Garzanti, 2001)

 

Leonardo Di Caprio e Martin Scorsese in Gangs of New YorkLa fantasy paga e a Peter Jackson non si taglia un fotogramma della trilogia dedicata a Il Signore degli Anelli. Lo dice il pubblico in fila alle casse: elfi, spadoni, principesse e mostriciattoli in versione integrale, lunghissima, non rovinano l’incasso. Lo spettro del botteghino ha invece assillato da sempre i magnati che accettano di investire milioni di dollari in progetti condannati già in partenza ad una ‘necessaria’ censura commerciale. Motivi di mercato (chissà se il Solaris di Soderbergh andrà incontro allo stesso destino dell’originale tarkovskiano) che a volte fanno a pugni con l’impossibilità dei registi a consegnare in tempo utile un montaggio definitivo. Griffith, Stroheim, Vidor, Coppola: colpevoli e recidivi. In sala fuori tempo massimo, inseguendo fino all’ultimo istante (all’ultimo respiro, nel caso di Kubrick) la vita, il corpo, la linfa del film. Un vero regista (non parlo delle macchiette) è un bambino. Provate a spiegare a un bambino il concetto di prodotto.

Il lungo braccio di ferro tra Martin Scorsese ed il produttore Harry Weinstein si è concluso con un taglio di 48 minuti a Gangs of New York. C’è un vuoto che alla fine del film si avverte ma non annienta del tutto la seduzione di un progetto immenso, carezzato per decenni, poi sofferto sul set e in sala di montaggio. Più forte della storia d’amore tra la ladra Jenny ed Amsterdam è la Storia di una città-palcoscenico, della gente di Five Points nella seconda metà dell’800, tra faide intestine e Guerra di Secessione. Un popolo sporco e cattivo, testimone e attore di risse, Daniel Day-Lewis e Leonardo Di Caprio in Gangs of New Yorksoprusi, duelli all’ultimo fendente. Padre Vallon contro Billy The Butcher: il cattolico irlandese e il ‘nativo’ protestante hanno un unico figlio al quale insegnare la difficile arte della sopravvivenza. Non ci sono madri in Gangs (anche Jenny ha lasciato che le strappassero via il suo bambino prima che nascesse), perché l’unica grande madre è l’America, puttana dalla nascita, genitrice di razze nuove. Puoi chiamarti Amsterdam e avere origini irlandesi, incontrerai sempre qualcuno pronto a dirti: "Io sono New York". Incontrerai l'orgoglio cieco, l'ambizione e l'arroganza. Anche Hollywood è nata su questo credo.

Il progetto era dunque ambizioso quanto Apocalypse Now, Via col vento e C’era una volta in America. Era, probabilmente, questi tre film insieme: stessa la scintilla, il disegno da Grande Romanzo pynchoniano più che da kolossal con centinaia di comparse e scenografie impressionanti. L’avventura e la Storia (l’hanno detto in pochi ma, sia chiaro, Gangs of New York è un bellissimo film d’avventura con omaggi a L’Isola del tesoro e Le Avventure di Tom Sawyer), la tragedia e la farsa in una riscrittura cinematografica che (tipico dei grandi visionari) non poteva tener conto più di tanto dell’aspetto commerciale (un contratto alla Diaz ed uno a DiCaprio per chiudere la bocca ai boss).

Comprate il biglietto. Confidate nella possibilità di trovare un giorno una superba edizione in DVD con tutto ciò che al momento non c’è. Il cinema non è Peter Jackson.

(V.L.)