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AFTERHOURS: Ballate per piccole iene (Mescal) |
“L’amore rende soli ma è ben più doloroso se per nemici e amici non sei più pericoloso”
Un singolo, Ballata per la mia piccola iena, che arriva dritto in faccia con la stessa forza, la stessa grazia sofferta di Dentro Marilyn, Male di miele e Non è per sempre. Canzone che cresce lentamente e di colpo ti esplode dentro fino ad offrirti una chiave d’accesso al nuovo lavoro degli Afterhours: amaro, sanguigno, magari non sempre immediato ma di sicuro capace di spalancare verso dopo verso, accordo dopo accordo, mondi poetici e sonori di intensa bellezza. Verità ribaltate nel loro contrario. Buio, luce, calore, roccia e carezza animale. Chiede tempo, nel suo discutere di un’aggressività tangibile che si sovrappone all’illusione di una quiete fetale. Offre brani che crescono in energia e intensità, immagini sporche, intime, tratteggiate da chitarre ora languide, ora più affilate che atterrano sulle parole e insieme ad esse raccontano il nostro essere fragili e spietati in un regno di mediocrità. “Vedrai, vedrai se il mio amore è una patologia saprò come estirparla via” è l’urlo- metamorfosi nascosto tra le pieghe soul di Ci sono molti modi. Immediatezza disarmante alla maniera di un tuono. Qualcosa che al tempo stesso provoca, sgomenta, seduce e ti fa istintivamente pensare al disco che stai ascoltando come a una stanza d’albergo col letto disfatto, una copia di Fight Club sul comodino e una finestra aperta sullo stesso cielo plumbeo scelto per la copertina del precedente Quello che non c’è. Luogo né teatrale né sentimentale, semplicemente drammatico, costruito tenendo ancora una volta il lato emotivo in primissimo piano: “Ora che sei vera sai la verità, siamo vivi per usarci” (La sottile linea bianca). E ancora: “Imparare a barare e sembrare più vero, due miserie in un corpo solo” (Il sangue di Giuda). L’appuntamento era atteso da almeno un anno, vuoi per le annunciate collaborazioni con Greg Dulli e John Parish, vuoi perché (vox populi) la band guidata da Manuel Agnelli ha saputo conquistare credibilità e consensi giocandosi tutto, anche le occasionali imperfezioni, senza mai scadere nello scontato. Non c’è ridondanza nei dieci episodi di Ballate per piccole iene. Si consolida l’immagine di un progetto unico in quanto onesto fino in fondo, assente per (sana e robusta) costituzione al richiamo di un rock italiota involontaria parodia di se stesso. Se Carne fresca gira intorno a una struttura melodica affine a certe cose dei Radiohead e La Vedova bianca parte citando ritmicamente i Velvet Underground, la succitata Il sangue di Giuda ha (sto per dire un’eresia?) un’eco lontana del Baglioni che il popolo rock ha ascoltato di nascosto trafugando la copia di Oltre dalla stanza della sorellina. E poi, ascoltate attentamente gli archi, le tastiere vintage che strisciano in diversi passaggi: c’è un’eredità Battisti sfruttata al meglio, con misura e intelligenza. Gli Afterhours sono la band che ha rivisitato Gioia e rivoluzione degli Area per la colonna sonora del film di Guido Chiesa Lavorare con lentezza. Lo stesso gruppo che si è confrontato con La Canzone di Marinella di De Andrè e La Canzone popolare di Fossati. Alla maniera dei Twilight Singers di Dulli: pesca ciò che ti piace, ciò che puoi fare tuo e incidi la tua versione mandando i puristi a farsi fottere una volta per tutte. Il nuovo disco sta per uscire anche all’estero per una nota etichetta indipendente inglese come parte di un progetto della Mescal partito con la versione in inglese del terzo album di Cristina Donà. È bello poter dire che questa band non ha paura di niente. (J.R.D.) |
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