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AUDIO BULLYS: Ego war (Source/Virgin) |
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Una folgorazione! Sono dischi come questo a farmi sbarellare per giorni interi (se la botta è veramente buona, addirittura settimane o mesi). Roba vera, altro che fighettume nu lounge, etno-techno e dinner+drink ‘per una festa senza confini’ al Buddha Bar de Paris. Beats scarni, suoni sporchi (da uno squat, forse dal vagone della metropolitana fotografato per la copertina), benché prodotti da rappresentanti di una generazione cresciuta col computer. Tensione punk profetizzata dal campionamento di White riot in The Phantom dei Renegade Soundwave su un singolo Mute del 1989, poi dalla raccolta Nine o’clock drop curata tre anni fa dal produttore Andy Weaterhall per l’etichetta Nuphonic. Una miscela che in Ego war riesce a suonare istantaneamente fresca anche quando sfrutta campionamenti di reliquie come il Joe Cocker di Marjorine (accade in Face in a cloud) oppure Elvis Costello (per Way too long la scelta cade su (I don’t wanna go to) Chelsea, uno dei brani migliori di This year’s model) o, ancora, il tema del telefilm anni ’70 Police Woman per The Things. Ora so che il debutto di Simon Franks e Tom Dinsdale, i due kids della suburbia inglese riuniti sotto la sigla Audio Bullys contiene ESATTAMENTE la musica che avevo voglia di ascoltare in questo momento. È come portarsi a casa l’atmosfera di un club in cui si incontrano hooligans, punks e gente che muove il culo con la house. UK Garage, lo chiamano. Impastato di funk, dub e hip hop (Biggie Small e Method Man figurano tra le influenze dei nostri) per rifare i connotati alla dance music. Il passato e il presente del pianeta Londra si danno appuntamento in un album atteso a lungo viste le ottime premesse di Audio Bullys EP (uscito nell’estate 2001, quattro mesi dopo la firma del contratto con la Source, conteneva Real life più altri tre brani) e del singolo dinamitardo We don’t care (il relativo videoclip è stato diretto da Walter Stern, già autore di Firestarter dei Prodigy e di Bittersweet symphony per i Verve). "Scriviamo canzoni sulla vita di tutti i giorni" dice Simon, onesto e avvelenato vocalist del duo. C’è da credergli. I numeri giusti ci sono: dall’iniziale Snake (avvio da soundtrack carpenteriana, indice puntato sul cursore dell’eco di ritardo) alle successive 100 million (cazzo, che groove!) e Way too long (una All along the watchtower terminale), a The Tyson shuffle e The Things (solo i Casino Royale di Palma & Bisceglia avrebbero potuto scrivere una canzone così bella). Si ascolta tutto senza saltare da un pezzo all’altro, sorpresi di trovare omaggi e citazioni piuttosto che il solito penoso riciclaggio d’idee altrui. Prendete The Snow e I go to your house, ad esempio: ipercinetica black (disco) music fine ’70 pompata sulla sabbia di Ibiza in pieno 2003 (il tizio visibilmente allucinato che parla da solo è Patrick Bateman). Fino a ieri, Franks e Dinsdale (46 anni in due) facevano girare dischi alle feste e producevano bootlegs. Per una volta non abbiamo difficoltà a prestar fede ai critici che hanno paragonato la coppia di soci a un po’ di gente importante: Specials, Clash, Madness e quei disgraziati degli Happy Mondays (tornate insieme!), tanto per buttare sul piatto i primi quattro della lista. Se New York è risorta grazie a Liars e Radio 4, Londra risponde con gli Audio Bullys inseguendo su coordinate nuove l’approccio alla musica di gente come John Lydon e Joe Strummer.
(J.R.D.) |
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