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LOU REED: The Raven (Wea) |
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Delmore Schwarz, Andy Warhol e adesso Edgar Allan Poe. L’educazione poetica e artistica di Louis Alan Reed passa attraverso questi tre nomi chiave dai turbolenti anni giovanili alla Syracuse University (dove Schwarz teneva i suoi corsi di scrittura creativa) alla New York dei Velvet Underground e dell’assalto multimediale warholiano fino alla Big Apple dei nostri giorni. Il Reed in pastrano, spada e pantofole versione ‘matto bucolico’ ritratto negli scatti in bianco e nero scelti per la copertina del disco, azzera un trentennio di immagini metropolitane certificando nello stesso tempo un nuovo stadio evolutivo del personaggio: il wild side, l’inquietudine dell’ex junkie, trovano un contatto tangibile con i fantasmi interiori che già facevano capolino nel cupo Magic and loss. Morte fisica e/o spirituale, lacerazioni interiori e abbandono: con o senza business, il rock ne è pieno. Ora, tra i vicoli, la spazzatura, le siringhe sporche di sangue, affiorano le pagine imponenti di un narratore complesso e allucinato, i segni di Edgar ‘lo scandaloso ubriaconè, del ‘padre dell’horror’ transumato nella nostra epoca dal cinema di Roger Corman. Un primo, significativo contatto tra Reed e l’opera di Poe si concretizza alla fine degli anni Novanta, quando Hal Willner (coproduttore di The Raven) organizza una lettura di poesie alla St. Anne Church di New York, affidando a Reed l’interpretazione di The Tell-tale heart (Il Cuore rivelatore). Poco dopo è la volta di POEtry, piéce teatrale nata dalla collaborazione con il regista Bob Wilson e rappresentata per la prima volta da attori di lingua tedesca al Talia Theater di Amburgo. L’embrione del nuovo album è in queste esperienze e, dovendo presentarlo al pubblico, il musicista insiste giustamente sulla matrice letteraria dichiarando: "Per me Poe è il padre di William Burroughs e Hubert Selby." L’orrore, lo sguardo dal profondo, i diversi livelli di lettura che ancora oggi offre l’opera di quello che nella cavalcata r’n’r Edgar Allan Poe viene descritto come "non proprio il ragazzo della porta accanto". Reed indaga tutto questo raggiungendo il punto più alto della sua fase matura in un’operazione curiosamente vicina alle ambizioni concettuali dell’ex compagno John Cale. Come New York e The Blue mask, anche The Raven è un lavoro costruito con le parole (e sull’effetto drammatico delle parole), prima ancora che con gli strumenti musicali. Un ascolto più attento fa emergere addirittura lo stesso slancio anticommerciale provato ai tempi di Metal Machine Music: qui i brani recitati dagli attori Willem Dafoe, Amanda Plummer, Steve Buscemi, Elizabeth Ashley, Fisher Stevens e Kate Valk prevalgono sulle canzoni (e sarebbe davvero poca cosa accontentarsi della versione ridotta su un singolo cd). Quella che si ascolta in The Raven è musica al servizio di una scrittura drammaturgica. Non la colonna sonora di POEtry, quanto una versione ‘altra’, più vicina al concetto di radiodramma, di esperienza da vivere a luci spente, distesi su un letto con gli auricolari infilati nelle orecchie. Ci sono dentro Ornette Coleman (Guilty – song); Laurie Anderson; David Bowie (nel frammento microscopico di Hop Frog); The Blind Boys of Alabama e il rock and roll (con un particolare timbro jazz-blues) si stempera su una tela di partiture d’archi, elettronica (The Valley of the unrest) e suggestivi inserti folk acustici fino a lambire il passato dello stesso Reed con una Perfect day riletta dalla bellissima voce di Antony in chiave soul da camera. Mancano i testi, in corso di traduzione italiana per un volume edito da Minimum Fax ( www.minimumfax.com ) che vedrà la luce tra marzo e aprile. Nell’attesa, il sito www.loureed.it li pubblica in anteprima. Voi, procuratevi il disco, ne vale la pena. (J.R.D.) |
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