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SOLARIS |
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Prima e dopo: in orbita o in apnea nella terra (nel cinema) di nessuno. Come dire ‘before and after sciencè o più semplicemente che prima e dopo trent’anni di effetti speciali e di action sci-fi di celluloide (tanti ne sono trascorsi dalla prima versione firmata nel 1972 da Andrej Tarkovskij e mutilata in Italia da De Laurentiis), Steven Soderbergh ha accettato l’invito di James Cameron a riportare sullo schermo il romanzo dello scrittore polacco Stanislaw Lem. Poema metafisico in slow-science-fiction, storia di specchi e simulacri ambientata su una stazione spaziale in ostaggio del pianeta-cervello Solaris che esplora ulteriormente l’identità tra spazio e inconscio di 2001 Odissea nello spazio. Inquietante nel suo abbandonare il genere, i luoghi, gli ingredienti classici e commercialmente sicuri della SF al gelo siderale per appartarsi in maniera sfacciata (cioè senza pensare al pubblico) nelle stesse camere dell’Hermitage di Carmelo Bene e di Shining, altro frammento kubrickiano affollato di fantasmi ed echi dal passato.Proprio all’interno di queste ‘rooms’, le allucinazioni diventano tangibili, si fanno carne e voce che semina dubbi, amplifica le grandi domande esistenziali fino a toccare le corde di una penosa coscienza dell’equivoco identitario. Apparizioni attraenti, ospiti/intrusi diversi, poniamo, dal cancro alieno di Ridley Scott, così come diversi sono i pianeti: vivo e pulsante Solaris, cimiteriale, disegnato da H.R. Giger quello sul quale atterra l’astronave Nostromo. Pure, il tema della morte è presente nel romanzo, nelle due diverse versioni, nella sceneggiatura riscritta da un Soderbergh interessato agli eventi accaduti sulla Terra, nel passato del protagonista perseguitato dal rimorso di una perdita affettiva e ossessionato dall’idea di poter rimediare a ciò che la morte ha marchiato come irreparabile. Siamo alla fantascienza ‘da camera’ senza urla e sussulti, agganciata alla forma linguistica dell’inconscio e ad un ritmo alla Traffic. Sbuffi in sala, dunque, per questa pellicola da 47 milioni di dollari in cui ‘non succede nientè: zero mostri, zero duelli con spade laser, zero scontri stellari, etc. Sebbene Cameron abbia ricordato che Solaris "non è un film d’azione ma fantascienza come la si intendeva negli anni ’50 e ‘60" è difficile tenere un conto preciso delle mentecatte che stanno convincendo fidanzati e mariti a vedere il film per la manciata di secondi durante i quali Clooney appare in penombra a chiappe nude. A parte questo dettaglio basso (è il caso di dirlo), sfruttato a fini promozionali dalla Fox, la vicenda a lentezza funzionale dello psicologo Chris Kelvin, inviato a recuperare ciò che resta dell’equipaggio della Prometheus continua a risultare indigesta ad un grande pubblico che oggi premia Chicago perché "ha preso sei Oscar, anche quello per il miglior film". Il Solaris di Soderbergh è invece un’opera affascinante e sperimentale miracolosamente realizzata con i soldi di una major. Un film interpretato dall’unico degno erede di Cary Grant (quindi, qualcosa di più di un culo) ma anche un lavoro che sfugge all’etichetta di remake in senso stretto. Fotografia, scenografia, musiche (composte da Cliff Martinez) si imprimono nel segno di un regista versatile ed estremamente personale, cineasta dei flashbacks che (finalmente) complicano le cose più che chiarirle allo spettatore, voyeur alla Antonioni, cioè capace di uscire dall’inquadratura convenzionale per ridisegnarla in toto anche solo con un gioco di controcampi, con le pennellate astratte di un particolare sfuocato (ora una bocca, ora un volto intero, poi un edificio, e così via). Soderbergh conosce il cinema per il suo connotarsi come regno di ombre, di ritornanti (ieri la banda Sinatra di Ocean’s eleven, oggi Solaris) e pratica il mestiere del cinema con la consapevolezza (incoscienza, a sentire il punto di vista dei produttori) di avere di fronte un corpo da smontare e rimontare all’infinito. Come Rheya, la moglie infelice di Chris, la visione, l’ossessione-cinema spedita nello spazio profondo dalle urgenze commerciali torna a visitarci: miracolo! Evento soprannaturale, nell’anno di Chicago. Veronica Lago |
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