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SONIC YOUTH: Murray Street (Geffen) |
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Devo dirlo: se cercate obiettività, non proseguite oltre nella lettura di questa recensione. Sto ascoltando l’ultimo album della mia band preferita, pertanto, non aspettatevi niente altro che un’appassionata, schifosa, illogica dichiarazione d’amore. Sonic Youth, vent’anni dopo il primo vagito inciso per la Neutral di Glenn Branca. Il rumore è (quasi) alle spalle, come il secolo di Cage, Ono, Reich, Oliveros celebrato nel doppio Goodbye 20th Century, come i mormorii all’indomani della firma per il colosso David Geffen Company e lo storico tour insieme ai Nirvana dell’ex fan Kurt Cobain. Hanno una certa età. Sono un’istituzione. La loro discografia è spaventosa. Sono più giovani, indipendenti e veri del diciassettenne che suona metal tamarro nel box sotto casa mia. Finiti? Neanche per idea! I Sonic Youth sono intoccabili perché nessuno meglio di loro ha reso più labile il confine tra avanguardia e rock diventando il punto di riferimento per la maggior parte dei gruppi emersi negli anni Novanta: Pavement, Sebadoh, Blonde Redhead in testa. Non ci sarà mai più un altro Daydream Nation, un disco che al suo apparire, nel lontano 1988, suonava già come la chiusura di un cerchio, un classico indie-album da consegnare alla storia non solo per via delle famose Teenage Riot e Kissability, per gli espliciti riferimenti all’era Reagan. E non ci sarà neppure un altro Dirty, altro doppio che – esattamente dieci anni fa – metteva in fila le tentazioni pop del gruppo (100%; Purr; Sugar Kane; Chapel Hill) avvalendosi della supervisione di Butch Vig, futuro produttore di Nevermind dei Nirvana. Murray Street, dunque. Secondo i diretti interessati, un ritorno alla forma canzone in sette movimenti, quarantacinque minuti e quarantuno secondi. Apparentemente, le atmosfere sembrano le stesse di A Thousand Leaves (1998) e NYC Ghosts & Flowers (2000): sound morbido, brani essenzialmente concepiti come ballate, molto spazio alla voce nasale, strascicata di Thurston Moore (Kim Gordon stavolta è in coda, lascia il suo inconfondibile segno su Plastic Sun e nella languida Sympathy for the Strawberry). Murray Street, New York City, a due passi da Ground Zero. Periodo delle registrazioni: agosto 2001 – marzo 2002. Coco Haley Gordon Moore e la sua amica Stella in copertina. Primo consiglio: ascoltarlo preferibilmente di notte. Empty Page e Disconnection Notice dosano acustico ed elettrico tra morbidi cuscini jazzy: i critici importanti dicono un’ovvietà quando ribadiscono l’influenza di Neil Young nel cantato di Moore, bisognerebbe piuttosto chiedere ad un certo Beck quanta influenza abbia avuto su di lui la voce di Thurston. Rain on Tin, un filo più nervosa, scivola debole e pigra su giri, accelerazioni/rallentamenti già noti (Ok, lo dico: un passettino falso. Solo uno, però!), mentre la lunga Karen Revisited è notte newyorkese che sfrutta il rumore in senso armonico, sinfonia nata dai semi gettati in Invito al Cielo, trama psichedelica sottratta alla ridondanza. Il punto più emozionante del disco, non ho dubbi (Lee Ranaldo alla voce). Radical Adults Lick Godhead Style riannoda, senza riciclare niente, i fili tra Teenage Riot e Theresa’s Sound-World (bellissimi i fiati di Jim Sauter e Don Dietrich, quasi James White, No Wave anni Ottanta). Quando arriva Kim, tutto è pronto per il gran finale e Plastic Sun ha qualcosa di Bull in the Heather: so già che non lo mollerò per tutta l’estate. Già finito? Ecco cosa mi manca dei vecchi tempi: una durata maggiore. Il giudizio è comunque (ovviamente?) positivo. Murray Street fotografa ancora una volta l’inarrestabile evoluzione di una band che ha appena assorbito tra le sue fila Jim ‘O Rourke, musicista e produttore già dietro le quinte degli ultimi tre lavori. Un nome che arricchisce la galleria di personaggi entrati in contatto con l’universo sonoro della band di New York: da Richard Edson, primo batterista, poi attore in Stranger than Paradise e Platoon, a Lydia Lunch e Richard Kern, a Mike Watt dei Minutemen, complice del progetto parallelo Ciccone Youth, a Yamatsuka Eye per il 12" Tv Shit. Saranno presto in Italia e, onestamente, penso che abbiano appena cominciato a divertirsi. (J.R.D.) |