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THE FLAMING LIPS: Yoshimi Battles the Pink Robots (Warner Bros)

 
 

THE FLAMING LIPS: Yoshimi Battles the Pink Robots“Her name is Yoshimi - she's a black belt in karate
Working for the city - she has to discipline her body -
Cause she knows that it's demanding to defeat these
Evil machines - I know she can beat them –

 Solo un disco dell’altro mondo, probabilmente. Yoshimi Battles the Pink Robots è un’onda anomala di suoni eterogenei che rimandano a fonti mai citate apertamente, eppure presenti in tutte le undici tracce del successore di The Soft Bulletin (1999). È il materializzarsi (nella forma del prodotto discografico, dell’oggetto cd) di un’idea contemporanea della musica (dell’arte tutta) nella quale l’impossibilità di scrivere cede il posto alla riscrittura intesa come assemblaggio di materiali nuovi, appropriazione ricostruttiva di schegge del passato/futuro. Un gesto critico, uno slancio sfrenato di assimilazione che disegna la mappa di un nuovo corpo musicale facendo risuonare (attraverso composizioni così semplici che devono per forza essere fatte a pezzi per poter rintracciare la cellula primigenia) l’intera partitura che il termine pop sa evocare.

Le coordinate sono giuste: da Oklahoma City a quella porzione di galassia pop abitata da John Lennon, Brian Wilson ed Andy Partridge, dai primi dischi  indipendenti al contratto stipulato con la Warner firmato nel 1992. I Flaming Lips viaggiano da circa vent’anni con un bagaglio di esperienze che include tra l’altro Zaireeka (1997), album diviso in quattro cd da ascoltare in simultanea su altrettanti lettori (li avete in casa?), operazione apertamente rivoluzionaria nel suo forzare/disfare gli schemi abituali della fruizione. Per non parlare di quando, nello stesso periodo, girarono il mondo con The Boombox Experiments, performance che si sviluppava affidando a quaranta elementi selezionati tra il pubblico dei generatori di suono (i Boombox, appunto, vecchi apparecchi debitamente modificati bloccando alcuni tasti e lasciando libertà d’azione su play, stop e rewind, oltre che sul controllo del volume). Collegati in sincronia all’impianto audio generale, i Boombox venivano fatti suonare dagli spettatori sotto la direzione del gruppo: ogni sera, i suoni contenuti nelle scatole erano gli stessi, cambiavano i risultati a seconda dell’orchestra utilizzata.

   Follia? Sberleffo? Situazionismo a stelle e strisce?

Quella di Wayne Coyle (cantante recentemente passato dietro la macchina da presa per il film Christmas on Mars) è una band che spiazza perché interroga i principi stessi dell’originalità spingendo sovente qualcuno a gridare al plagio. Stavolta è di scena l’elemento elettronico e l’occasione è ghiotta per tuffare le orecchie in un album che mette insieme, oltre ai nomi succitati, Burt Bacharach, Eugene Chadbourne, i Kinks ed i Kraftwerk.

   Nelle surreali note pubblicate sul sito  www.flaminglips.com , Coyle specifica che Yoshimi Battles the Pink Robots non è un concept (“but it does have several ‘sound story’ compositions connected throughout the record”). La Yoshimi del titolo è la cantante dei Boredoms che urla nella traccia numero quattro (Yoshimi battles the pink robots pt. 2), trasformata in un personaggio di fantasia. Quello che Coyle non dice è che Fight test  è un bel modo per aprire un disco con un ritornello killer che entra immediatamente in testa: “I don't know where the sun beams end / and the star Light begins it's all a mystery / And I don't know how a man decides what right for his / Own life - it's all a mystery”. È un Lennon con l’energia di Double Fantasy alle prese con una ballata sbilenca (questa sì) tipicamente Flaming Lips; un Neil Young che tiene compagnia a Kerouac nello Spazio Sfinito di Tommaso Pincio. Melassa? West-Coast? Psichedelia? Stranezze che non piaceranno a chi giura che il vero capolavoro della band sia Telepathic Surgery (anno di grazia 1989, etichetta Restless).

The Flaming LipsPiù soft (ed anche meno progressive) rispetto alle cose passate, questo è vero: morbida la produzione di David Fridmann, sterzate verso l’easy più sofisticato. One more robot fa pensare ad un fantomatico disco degli XTC prodotto dai Massive Attack. Impossibile? Eppure è così, fateci caso. Esplorare territori sconosciuti partendo da ciò che esiste già è una strategia che implica un’attenzione totale verso i simboli, gli archetipi della cultura pop. Eteroglossia: questa è la chiave più efficace per accedere al mondo dei Flaming Lips. Già il titolo della raccolta rimanda ad altro (ad un B-movie immaginario, ad un cartoon per le orecchie che la Disney non si sognerebbe mai di mettere in cantiere). Il gioco continua senza annoiare per tutto il resto di un disco che, l’avrete capito, sfugge ad ogni possibile classificazione (sarà un hit It’s summertime? Si direbbe di sì: ecco un altro pezzo che s’inchioda in testa senza problemi).

(Denis Gass)