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DEVENDRA BANHART: Rejoicing in the hands(Young God)

 

Devendra Banhart è un menestrello flippato di ventitre anni. Un predicatore surrealista e corrosivo che consuma la tradizione americana dall’interno. Un’anima fragile e misericordiosa. Un homeless divenuto martire. Qualcosa di simile a un predestinato.

Come spiegare altrimenti la magia di Rejoicing in the hands, il suo essere straordinariamente fuori da qualsiasi descrizione esaustiva. Un disco che si auto-emargina verso bordi lisci, confini tratteggiati ad acquerello, impalpabili orizzonti. Chitarra pizzicata, vaporosa, brutalmente seviziata, e una voce allucinata, epica, western. Due semplici ingredienti che nel 2004 testimoniano la necessità di semplicità e purezza.

Figlio inconsapevole di quel gran personaggio di Daniel Jhonston, Devendra si è laureato giovanissimo al San Francisco Art Institute facendosi subito notare per quel suo talento irrequieto, incontenibile, difficilmente riducibile al solo essere cantautore. Me lo vedo godersi il sole sul Golden Gate Bridge, ad osservare il volo eterno dei gabbiani, aspettando il tramonto.

Diavolo di un Devendra.

La leggenda vuole che Micheal Gira (ex Swans) lo vede suonare una sera ad un sushi bar davanti ad un pubblico infastidito da quel suo presuntuoso canto "a cappella". Tra questi, Sammy Hagar, che per zittire l’esibizione del nostro eroe pompa al juke box un pezzo della sua vecchia e orrenda band, i Van Halen. Devendra smette di suonare, si alza, e va a sputare nel piatto di Hagar. Rissa. Qualcosa di simile a un saloon. Sarà lo stesso Gira a trascinarlo fuori per condurlo al suo studio di registrazione.

Me oh My, uscito nel 2002 è incantevole DEVENDRA BARNHARTma è allo stesso tempo troppo bizzarro, acerbo. Basti pensare che si trattava di canzoni cantate nelle segreterie telefoniche degli amici e poi recuperate in qualche modo (molte sono state cancellate). Sempre Micheal Gira con la sua Young God produce Rejoicing in the hands e la differenza è notevole. Sedici splendide e immortali canzoni di folk blues che riescono a contenere l’eclettismo del giovane Banhart. Ricondurre l’innocenza nei binari della perfezione. Se esiste il paradiso esiste la possibilità che John Fahey e Jeff Buckley si siano incontrati su qualche nuvola accogliente ed abbiano suonato qualcosa insieme per intrattenere angeli sovraeccitati da numerosi caffè.

Qualcosa di simile a Rejoicing in the hands.

 

Jo Laudato

sul web:  www.younggodrecords.com