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EL ~ MUNIRIA: Stanza 218 (Homesleep Records) |
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A Tangeri, per cercare qualcosa. Pochi giorni separano L’ultimo dio, la più recente prova narrativa di Emidio Clementi dal suo ritorno anche in veste di musicista con il nuovo progetto denominato El ~ Muniria. In una stanza d’albergo della città nota per essere stata negli anni Cinquanta il rifugio di William Burroughs sono nate infatti le idee base di una raccolta di dieci brani annunciata e più volte rimandata nell’arco degli ultimi due anni. Dall’Africa a Bologna, dove il disco è stato registrato, in un’andata e ritorno che ha arricchito di colori cinematografici la vena poetica dell’ex fondatore dei Massimo Volume. Non canzoni, ma storie: questo l’unico legame con il passato. Racconti cuciti insieme da un filo di elettronica, dagli ambienti sonori catturati in loco da Massimo Carozzi e dalle chitarre di Dario Parisini, quindi rifinite dall’intervento di pochi ma preziosi ospiti (Vittoria Burattini alla batteria in Insieme; Maria Luisa Balzi, voce in Sotto il sole; Steve Piccolo, voce, armonica e testo in Narrating a photograph). “Ho un pezzo del mio cuore incartato sotto la sedia / era per voi, per voi, era per voi” recita Clementi sull’aria western-jazz che aleggia intorno a Santo. Chiudendo gli occhi, appare Clint Eastwood nei panni del vecchio killer a riposo ne Gli Spietati. Un uomo che si materializza dal passato, con qualche acciacco e molta polvere da scrollarsi dalle spalle, nel tono della voce una punta di ironia che deve avergli salvato la pelle in non poche occasioni. Oppure, per tornare a Burroughs (o alle suggestioni burroughsiane di Georg Klein), ecco la silhouette di qualcuno che aspetta allo Shalimar Hotel: “Ti ho aspettato seduto in un milione di bar / prima di annegare / prima di spendere tutto quello che avevo”. Qualcosa sfugge, spinge a riascoltare i brani più volte fino alla scoperta che dentro ogni frammento c’è un mistero inafferrabile, un tassello mancante o, in altre parole, ciò che immancabilmente rende attraente tutto ciò che riesce ad allontanare l’ascoltatore dalla gabbia della forma-canzone. Incantevole nella sua nudità, nel suo disfarsi di addobbi superflui, Stanza 218 è un disco pieno di suoni organizzati come fantasmi delle fonti originarie. Alterazioni ombrose, increspature che abbinate alle parole diventano desiderio di trovare un riparo dal caos esterno. La memoria, anche qui, come ne L’ultimo dio, riporta in superficie il peso di facce e cose catturate dallo sguardo e poi sedimentate dal tempo. Una colonna sonora per un film che non c’è (uniche immagini, le bellissime foto di Federico Labanti che illustrano il booklet). Un trailer per le orecchie di una pellicola ‘mancata’ da Michelangelo Antonioni. “Portami dove non sono mai stato / Portami dove non sarei mai potuto andare / Portami dove potrei stare / e fa che il giorno si dimentichi di arrivare” (Insieme). Quieto e notturno, basato sull’ipotesi di una musica filmicizzata, simile a quella prodotta oggi dai Massive Attack o da David Holmes, l’esordio di El ~ Muniria colpisce nel suo estraniarsi da un tempo (e da una logica commerciale) precisamente situato. (N.G.D’A.)
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