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LIARS: They were wrong, so we drowned (Mute/Labels) |
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Erano mesi che
Lasciatisi alle spalle Atheist reconsider, lo split E.p. inciso insieme agli amici Oneida e rinnovata la formazione (via la sezione ritmica originale, parzialmente sostituita dal batterista Julian Gross), i Liars tirano fuori dal cilindro un’opera oscura e coesa, sorta di versione 2004 di Tago Mago dei Can con echi del primo periodo dei Sonic Youth. Dieci brani e un tema narrativo portante: la stregoneria, argomento che ha catturato l’attenzione di Andrew portandolo ad una full immersion in documenti storici, saggi di antropologia e svariato materiale letterario. "Fear is a very seductive emotion" si legge nel comunicato della press agent Roberta Moore diffuso via www.liarsliars.com .Tribale è il primo aggettivo che viene in mente ascoltando la musica scarna e imperscrutabile che viene fuori dalle casse dello stereo di casa. Poco basso, chitarre deambulanti, percussioni orgiastiche, arrangiamenti free tesi a forzare i limiti della forma canzone. La sostanza, prima di tutto. Broken witch, mantra disturbante dal ritmo frammentato, si apre come un’invocazione notturna pronunciata sulla montagna di Brocken, la cima piú alta nella catena dello Harz, in Sassonia e luogo in cui secondo la leggenda le streghe si darebbero appuntamento il 30 aprile (nel Faust Goethe, vi ha ambientò la Notte di Valpurga). Lo strumentale Steam rose from the lifeless cloak è un’aria dark che aleggia per 2’ e 47" preparando a un maelstrom ritmico che non arriverà mai, mentre la già citata Therès always room on the broom eredita la follia primigenia dei Butthole Surfers avvicinandola a un art-punk di stampo più moderno. Magnetico il segmento di If your a wizard then why do you wear glassed?, caos eretico dalle punte No Wave che emana malessere schizofrenico e prelude ai gemiti primordiali di We fenced our houses with the bones of our own, sicuramente l’episodio migliore della raccolta nel suo riannodare le influenze psichedeliche del gruppo (Pink Floyd, Doors, Janès Addiction). Stregonesco, è il caso di dirlo, il synth di They don’t want your corn-they want your kids, un giro ipnotico spostato avanti e indietro nello spettro stereofonico che sfocia in poche battute nella sfuocata disco da squat dei vecchi 23 Skidoo. Tutta stoogesiana, al contrario, la matrice di Hold hands and it will happen anyway, ruvido e incandescente ruggito da K.O. metallico molto heavy. Il congedo affidato a Flow my tears the spider said![]() Tutto il disco vive di ronzii, inserti rumorosi, mormorii da trip cattivo manifestando un impulso al delirio febbrile, un’adesione a quella danza selvaggia e dissoluta che nel lontano 1979 non spedì in classifica Y del Pop Group di Mark Stewart e che oggi come allora darà però anche ai giovani Liars la fama imperitura di gruppo seminale. Qualcosa di meglio, insomma, di una moda passeggera. (J.R.D.) |
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