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THE MATTHEW HERBERT BIG BAND: Goodbye Swingtime (Accidental Records) |
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Vuoi raccontare di Matthew Herbert e non sai davvero da dove partire: da quando è apparso nella galassia club culture, l’inglese ha fatto il giro dei pianeti house quantomeno una decina di volte. L’iperattivo produttore ha lasciato sempre il segno con le sue opere, tracciando di volta in volta diverse strade percorribili dall’uomo e dalle macchine. Lo avevamo lasciato nel 2001 con il disco antagonista The Mechanics of destructions (a nome Radio Boy, costruito sui rumori provocati dalla “rottura” di diversi simboli del neoliberismo, dalla lattina della Bevanda Marrone alle Scarpe da Ginnastica), ma soprattutto con il seminale Bodily functions. Le funzioni corporali rappresentavano per Herbert una fonte di suono (come il ruttino della fedele Dani Siciliano), con cui concepire diverse architetture ritmiche e microsamples disturbatori della melodia: il tutto naturalmente elaborato nel rispetto delle rigide regole del PCCOM, codice di comportamento stilato dal Nostro (un manifesto all’originalità, vieta in sostanza di utilizzare sonorità provenienti da opere altrui e regola rigidamente la creazione e l’uso delle proprie). Nell’album del 2001, Matthew prediligeva associare al tessuto ritmico atmosfere jazzy-swing, evidenziando così una delle sue passioni adolescenziali che lo portò all’età di 14 anni a suonare in una big band. Nulla di strano quindi ritrovarlo ora a capo di un’orchestra di ben 16 elementi, tra i quali spiccano il maestro Peter Wraight, Phil Parnell ed un cast vocale d’eccezione: oltre alla compagna Dani, da segnalare le presenze di Arto Lindsay, Jamie Lidell (in licenza premio dai Super Collider), Mara Carlyle e Shingai Shoniwa, senza dimenticare l’intervento disturbante degli amici Mouse On Mars. Tutti rinchiusi presso i prestigiosi Abbey Road Studios, così da partorire Goodbye Swingtime, compendio di sapori notturni e cinematografici d’altri tempi, sporcati dal mood politico – elettronico del produttore britannico. Si, perché tra i rumori evocati da Herbert, sfilano quelli prodotti dalle Turning Pages di alcuni libri di Noam Chomsky, Michael Moore e John Pilger, nonché quelli provenienti da una stampante che sta sfornando documenti antagonisti. Un altro suono è possibile?
Bob Sinisi |
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