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EMINEM, UN PROFILO (leggi la recensione su 8 Mile) |
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Da Infinite
a The Eminem show, la carriera di "M ´n M" (dicono gli americani)
Marshall Mathers III, nato a Kansas City il 17 Ottobre 1972 da papà che se
la svigna in due mesi e mamma tossicomane, si potrebbe già (quasi)
descrivere con il tradizionalissimo schema ascesa-trionfo-caduta. Ascesa, da
quando il giovane rapper bianco, già contraddizione in termini, vince il
secondo posto alle Olimpiadi del rap di Los Angeles nel 1997. Alle sue
spalle ha un buon album, Infinite, che manca però di quel senso di
distacco ironico dalla propria rabbia che avrà inizio e completamento nei
due dischi successivi. Manca ancora, insomma, Slim Shady, l´alter ego,
il doppio, nato all´interno dei Dirty Dozen (rap-band di sei elementi,
incluso il nostro eroe, ognuno provvisto di un Mr.Hyde in agguato) e
trionfalmente portato in spalla dal suo creatore nei due lavori successivi,
The Slim Shady LP e The Marshall Mathers LP, che segnano la
vera fortuna planetaria di Eminem, ora star europea oltre che americana,
assistito nel successo da Dr Dre, rapper più celebre e già produttore che
intuisce il talento del ragazzino bianco e gli apre la strada verso un
genere musicale a lui, per carattere ascritto, implicitamente negato.
Assieme a Slim, la parte cattiva di Eminem, che inneggia a gole sgozzate e
fanciulle da stuprare, nascono in questi anni (1999-2000) altri personaggi
cari ai fan, che si citano e autocitano, in un gioco di specchi e rimandi
che rende impossibile la comprensione di ogni album a prescindere dagli
altri: Kim, la fidanzata traditrice che verrà punita in modo esemplare (ma
niente paura: la vera Kim è ancora viva, vegeta e anzi in odore d´arancio);
Bonnie/Haley, figlia superamata, forse troppo perché spinge a gesti
avventati; Stan, il fan ossessionato che sfida Eminem con lettere rimate e
audiocassette minatorie, e prendendo un po’ troppo sul serio i testi del suo
idolo, farà una brutta bruttissima fine; ma anche Paul Rosencratz o
Steve
Berman, produttori intolleranti che costringono periodicamente il cantante a
riscrivere i dischi, colpevoli di non parlare abbastanza di "puttane e di tv
dagli schermi giganti", come il rap "serio", il rap nero. Ma quella di
Eminem, per dirla con le sue stesse parole, "non è musica bianca, non è
musica nera: è musica da combattimento", che si spinge al di là dei temi
razziali per toccare, seppur in modo poco ortodosso e fin troppo feroce, i
temi universali della gelosia cieca che nasce dall´amore troppo intenso, dal
conflitto con un´infanzia impossibile da dimenticare, dello scontro
inevitabile tra bene e male, che spesso si traduce nel dilemma "droghe o non
droghe", con sfumature di amarezza esistenziale che, a leggere i testi con
attenzione, fanno di Eminem ben altro che un menestrello delle pasticche
felici (come lo accusano tante mamme arrabbiate americane), piuttosto il più
abile ritrattista di un´intera generazione senza niente e nessuno in cui
credere, niente e nessuno in cui sperare, se non nella salvezza del
sarcasmo, del paradosso e della rabbia che, sputata fuori, come un cane che
abbaia può immediatamente smettere di mordere. Valentina Soluri |
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