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MORPHINE: The Best of (Rykodisc) |
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La notte in cui il leader dei Morphine, Mark Sandman, morì stroncato da un infarto sul palco di Palestrina io girovagavo per la città cercando di capire perché la mia donna mi avesse lasciato il giorno prima. Sapevo del suo amore per quel gruppo e sapevo che non si sarebbe persa quel concerto per nulla al mondo così preferii non andarci per paura di incontrarla e guastarle la serata con la mia ingombrante presenza. Quando il giorno dopo seppi della morte tragica di Sandman non potei fare a meno di collegare i due eventi. In poco meno di due giorni la mia ex compagna aveva rotto il cuore a due persone ed io, in fin dei conti , ero quello che se l’era cavata meglio. Da quel giorno ho cercato di evitare di ascoltare i loro dischi per non cadere in spiacevoli ricordi e misteriose coincidenze. Poi il tempo, si sa, cancella tutto ed oggi non riascoltare canzoni come You speak my language o I’m free now è quasi un reato. I Morphine si formarono nei primi anni novanta con Mark Sandman alla voce e al basso, Jerome Deupree alla batteria e Dana Colley al sassofono baritono, e si imposero con la loro musica scarna in uno scenario ancora troppo dipendente dai maestri Sonic Youth, dalle innovazioni dei Fugazi e dal grunge di Seattle che scalava le classifiche grazie a band come Nirvana ed Alice in Chains. Erano tre alieni che amalgamavano blues, swing e jazz in strutture rock e new wave, dando vita ad una musica notturna e sexy. Ritmi tribali, progressioni incalzanti, armonie viziose si concretizzavano in un sound unico ed inimitabile retto da un cantato in bilico tra Jim Morrison e Tom Waits. L’impensabile assenza delle chitarre rendeva impareggiabili i duetti tra basso e batteria che pur nella loro semplicità non erano mai banali, creando atmosfere noir sognanti e cariche di tensione mentre il sax, non avendo compiti virtuosi, si adoperava in certi casi a disegnare geometrie melodiche tremendamente pulsanti, in altre immagini cupe e tenebrose. Blues malato, erotico e sfuggente che li portò immediatamente al successo incontrastato di critica e pubblico e che li accompagnò fino a quella tragica e calda estate del ‘97. Il primo album Good del novantadue resta il loro capolavoro indiscusso, ma anche in album meno riusciti come Like swimming o Yes è facile trovare guizzi di genio e piccole perle che ne giustificano l’acquisto. Perle che oggi , la Rykodisk ha raccolto sapientemente in questo The Best of, un disco sicuramente inutile per chi possiede i loro dischi originali ma assai prezioso per chi non ha avuto la fortuna di provare il loro vibrante sound. Jo Laudato |
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