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JOHN CALE: 5 Tracks (Emi) |
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Cinque pezzi (per niente) facili anticipano di pochi mesi l’uscita di un lavoro più lungo firmato da John Cale. Canzoni vestite di elettronica e beats moderni (il dub, addirittura, in Waiting for Blonde), registrate tra New York e Chicago da un sessantunenne passato per tutte le vite artistiche possibili nell’universo musicale contemporaneo: gli esperimenti accanto a LaMonte Young, l’età d’oro dei Velvet Underground, i dischi prodotti per gli Stooges, Nico, Patti Smith, le collaborazioni con Brian Eno, Kevin Ayers, gli Sham 69, Terry Riley, poi le colonne sonore per il cinema, il teatro, la danza. Peccato che nessuno abbia ancora pubblicato una traduzione italiana della sua autobiografia What’s Welsh for Zen uscita in America nel 1998. Peccato che gran parte della sua produzione come solista (in particolare album come Music for a new society, 1982 e Artificial Intelligence, 1985) non abbia tuttora beneficiato di rimasterizzazioni/ristampe su cd e che l’unico approdo per il neofita sia oggi la pur ricca, doppia antologia The Island years (1996, di facile reperibilità e a medio prezzo) contenente tra gli altri tesori Fear is a man’s best friend, Dirty ass rock’n’roll e una versione di Heartbreak hotel da film noir.Le prime note di Verses introducono in un’atmosfera trasognata simile a quella dei dischi di Sylvian & Fripp, poi il brano cambia, arrivano quelle urla spiazzanti che sembrano uscire dal sottosuolo ed è chiaro che, a dispetto delle apparenze, anche questa volta il gallese non sta puntando ad insidiare il trono dei re e delle reginette del pop. Come potrebbe? L’apparato lirico attinge a Ezra Pound (nella waitsiana E is missing), ad Alain Robbe-Grillet incrociando curiosamente (e per l’ennesima volta, periodiche riconciliazioni comprese) gli umori letterari dell’amico/rivale Lou Reed in The Raven. Intrecci di voci e synth ipnotici in Chums of dumpty (We all are) che si palesa come un omaggio alle stranezze obliquamente pop della Beta Band, recente infatuazione di Cale. Bellissima la melodia dark di Wilderness approaching composta in origine per la soundtrack di Paris, il film di Ramin Naimi. Solo cinque pezzi, ma quanta musica, quante suggestioni riesce a trasmettere questo illusionista con la viola, la chitarra, il pianoforte che, ricordano i biografi, all’età di otto anni suonava le sue composizioni alla BBC, a ventuno partecipò ad una performance newyorkese di John Cage lunga diciotto ore e poco più tardi vide gli inequivocabili segni del punk negli occhi di un certo Iggy Pop.
(F.V.G.) |
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