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SONIC YOUTH: Dirty – Deluxe Edition (Geffen/Universal)

 

Attenzione: linguaggio (un po’) sporco!

 

SONIC YOUTH: Dirty – Deluxe EditionOsservazione n.1: si fa una fatica da pipparoli fuori allenamento ad estrarre i due compact dal delicatissimo case digipack (bello a vedersi ma se lo rompi t’attacchi!).

Osservazione n.2: sono deluso dal fatto che anche stavolta sia stata inspiegabilmente tagliata fuori dall’artwork di copertina la foto dell’artista Mike Kelley intento a nettarsi il culo con un simpatico pupazzetto.

Osservazione n.3: il tizio che ha avuto la bella pensata delle Deluxe Editions è uno stronzo elevato al cubo che mi ha già costretto a riacquistare la banana sbucciabile dei Velvet Underground e A Love Supreme di Coltrane. Il che ci porta direttamente all’Osservazione n.4: ho il vago sospetto che, sotto sotto, anche i miei amatissimi Sonic Youth siano un po’ stronzi, visto che giusto pochi mesi fa mi avevano portato a metter mano al portafogli per potermi accaparrare la manciatina di brani composti per la colonna sonora di Demonlover, ultima pellicola di Olivier Assayas inedita in Italia (ormai ci fanno vedere solo i film di Jennifer Lopez e non sono neanche pornazzi).

Dirty amarcord

 

La prima volta che portai via una copia di Dirty da un negozio, il vinile non era ancora diventato materiale fetish e l’album che i S. Y. fecero uscire nel 1992 era doppio, realizzato insieme alla coppia Butch Vig/Andy Wallace (angeli custodi dei Nirvana in Nevermind) e ancora più bello di quel Goo con copertina di Raymond Pettibon che nel 1990 aveva inaugurato tra qualche polemica il contratto con la major Geffen. C’era persino un brano in più (Stalker) rispetto al formato cd e la band, reduce da un tour insieme al decano Neil Young in piena età del grunge, aveva adottato Kurt Cobain e la sua cricca finendo immortalata tra le camicie di flanella nel bel documentario 1991: The Year punk broke.

Ricordo le discussioni al bar coi partigiani della prima ora: "Sì, ma il capolavoro resta Daydream nation, anno di grazia 1988." Giudizio inconfutabile, però bisogna dire che Dirty si difendeva bene schierando un singolo sorprendentemente pop intitolato 100%; i 5’ e 29’’ di morbido velluto sotterraneo in Theresa’s sound world; il potente calcio rock and roll di Sugar Kane e poi l’immensa Youth against fascism, ovvero l’inno civile che nessuno ha ancora adottato nelle scuole elementari di tutto il mondo (i risultati sono purtroppo sotto gli occhi di tutti). Un quartetto chitarre/basso/batteria che girava a mille giocando con l’alto budget messo a disposizione dalla DGC per registrare quello che col senno di poi potremmo definire l’addio al celibato rock dei Sonic Youth, se è vero che il successivo Experimental jet set, trash and no star (1994) si inoltrava già sui Sonic Youth: Dirty – Deluxe Editionterritori ‘adulti’ dell’ultima fase. In Dirty, la Kim Gordon donna-adolescente di Shoot, On the strip e Crème brulee soffiava parole come armi letali di seduzione: vestito rosso a righine gialle o t-shirt con la linguaccia-marchio dei Rolling Stones e la scritta ‘EAT Mè.

Undici anni dopo, la band newyorkese rifà il trucco al classico recuperando dagli archivi le rehearsal recordings di quei giorni: appunti in studio di registrazione che sommati alle B-sides aggiungono altri 20 pezzi al disco originale. Praticamente un altro album tutto da scoprire che annovera ben 11 inediti assoluti (tra i quali Guido, dedicata al regista italiano Guido Chiesa e l’interessante New white kross).

È qui che ti fregano le Deluxe Editions: non si tratta di essere degli inguaribili completisti, la faccenda ha a che fare piuttosto con la curiosità che nasce dalla certezza che i Sonic Youth siano sempre stati la band che arriva in studio con la voglia di continuare a sperimentare. Poco o niente di definito (molto bello il provino per Wish fulfillment), per cui come si fa a parlare di ‘scarti’?

 

(N.G.D’A.)