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DAVE GAHAN: Paper Monsters (Mute)

 

DAVE GAHAN: Paper MonstersA distanza ravvicinata da Counterfeit², raccolta di covers (Bowie, Cave, Weill, tra gli altri) suonate e cantate da Martin L. Gore, vede la luce la prima prova fuori dal gruppo del barone Dave Gahan. Sopravvissuta già da qualche anno ad uno spaventoso turbine autodistruttivo (droghe pesanti e depressione profonda) che rischiava di spedirla nel salotto celeste in cui si trovano attualmente Hendrix, Morrison e Cobain, la voce dei Depeche Mode aveva annunciato un disco a suo nome alla fine del tour di Exciter, ultimo album della band inglese. Ecco allora Paper Monsters, efficace risposta a quanti, erroneamente, ritenevano Gahan soltanto l’interprete perfetto del ventennale songbook di Gore.

Solitudine, soul urbano, pagine di diario cantate a cuore aperto. Parole come chiodi conficcati nell’anima. La rockstar cede il posto all’uomo disposto ad evocare e dissolvere le zone d’ombra di un passato da tossico miliardario in una resa dei conti con il proprio lato oscuro. La musica come pacificazione, insomma. O come confessione pubblica.

Musicalmente scevro da tentazioni sperimentali, orientato verso un andamento lento, lunare, il debutto mette insieme dieci ottimi pezzi scritti in team con Knox Chandler e affidati alla produzione di Ken Thomas. Se Dirty sticky floors, il primo singolo, è un intrigante elettro-pop agganciato a grandi linee al marchio Depeche, il compito di catturare tutta l’attenzione dell’ascoltatore spetta alla loureediana (anche nel titolo) Hold on e, di seguito, a quella A Little piece che in cinque minuti imbocca senza difficoltà la strada pianoforte + arpeggi di chitarra acustica dei Nine Inch Nails più raccolti (che sia una prova generale per il progetto Tapeworms, accanto all’amico Trent Reznor?). Bottle living, stomp acido da passeggiata tra i crotali del deserto, è nelle corde del gigante Johnny Cash, altro artista salvato in extremis da sicura rovina, noto per essersi misurato pochi anni fa con le vette di Personal Jesus. L’ammaliante ballata Stay arriva dopo le cupezze blues-orchestrali di Black and blue again e prima di un altro potenziale singolo come I need you. Hidden houses gioca su un giro Cure e si sviluppa come una jam immaginaria tra il gruppo di Robert Smith e i Ride. Peccato per Bitter apple, unico esercizio sopra le righe in un disco davvero ispirato che vale più di un ascolto.

(J.R.D.)

sul web: www.davegahan.com

                www.mute.com