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MARILYN MANSON: The Golden age of grotesque (Nothing/Interscope)

 

MARILYN MANSON: The Golden age of grotesqueAlla fine il Reverendo è tornato a manifestarsi e il suo Verbo si è fatto polpa in un album di 16 brani (inclusa l’ormai nota cover di Tainted love dei Soft Cell) impreziosito nella versione limited dall’interessante cortometraggio in DVD Dopplehertz, sorta di incubo-tributo al cinema di David Lynch con le presenze di due autentiche icone del porno d’autore quali Dita Von Teese e Aria Giovanni (saranno dedicati a codeste fanciulle i grati versi di Slutgarden?).

Annunciato e rinviato da oltre un anno, forse a causa di una gestazione più laboriosa del solito, più probabilmente per via dei crescenti impegni di Manson chiamato a scrivere colonne sonore (Resident evil in testa), The Golden age of grotesque giunge una volta preso atto della defezione del bassista Twiggy Ramirez e assimilata la conclusione della trilogia costituita da Antichrist superstar (1996), Mechanical animals (1998) e Holy wood (2000). Si dice anche che il disco abbia sofferto le pressioni della Interscope, preoccupata di non incorrere nell’ira censoria della Disney dopo che il titolare aveva prospettato alla casa discografica una prima copertina che lo vedeva truccato da luciferino Mickey Mouse in una foto dell’artista Gottfried Hellwein. Magari era un ratto qualsiasi, solo che qualcuno non deve aver gradito l’involontario accostamento. Altra verosimile ipotesi da non scartare: si è trattato dell’ennesima turbata MARILYN MANSONmediatica di un nobiluomo che ha in comune con Madonna un’invidiabile senso dell’autopromozione.

Partire si parte bene: dopo il breve intro ‘dark-ambient’ di Thaeter (gioco linguistico tra ‘Tetro’ e ‘Teatro’?) irrompe This is the new shit, uno dei vertici assoluti del disco che risponde con la consueta, feroce ironia alla domanda: "Cosa possiamo aspettarci di nuovo dal rock and roll e da Marilyn Manson?" Il testo parla chiaro: "Everything has been said before / Therès nothing left to say anymore / When it’s all the same / You can ask for it by name..." Bel ritmo squadrato, strofe incendiarie, tenendo presente che i Nine Inch Nails dell’amico Trent Reznor sono ancora una delle grandi influenze della band che oggi, lontani gli esordi sotto la sigla Marilyn Manson & The Spooky Kids, vanta da par suo un numero impressionante di imitatori. Stesso effetto provoca il singolo mOBSCENE, pronto per mandare in fibrillazione i fans assiepati sotto il palco, laddove la qualità cala di un paio di tacche abbondanti con la successiva Doll-dagga buzz-buzz ziggety-zag, tamarra come un incrocio tra i barbuti ZZ Top e il peggior Alice Cooper decennio ’80. Si riprende quota a partire dalla title-track e da (s)AINT, una volta superata la fiacca Use your fist and not your mouth. È qui che il disco decolla sul serio spianando le novità del sound mansoniano post Holy wood oggi (parzialmente) influenzato anche dall’hip hop di Eminem. Meno gothic e più electro, infettato sottopelle dal blues alcolico-spettrale di Screamin’ Jay Hawkins, forse dal Tom Waits kurtweilliano di Swordfishtrombones. Di più: l’ascoltatore diventa spettatore di questa quinta ‘cinematografica’ prova in studio tematicamente ispirata agli anni che nel secolo scorso videro l’avvento del nazismo. Una satira. Una terrificante parata di mostri e allucinazioni della porta accanto rafforzata da liriche dirette, da un ‘content’ mai così ‘explicit’.

La religione è in secondo piano, cede il posto al potere riconosciuto come macchina che, disinvoltamente immersa nella finzione, macina gli umili, gli indifesi, i vinti della terra attraverso l’inganno di una democrazia fittizia, di una libertà nei gesti piuttosto che nel pensiero. "All our monkeys have monkeys" canta l’ex timido ragazzo episcopaliano Brian Warner. Scrivendo The Golden age of grotesque, la sua immaginazione deve essere andata ai Werewolf Korps di Goebbels, a The Decline of the West di Oswald Spengler, dove si spiega che "La pace nel mondo (...) richiede la personale rinuncia alla guerra da parte della stragrande maggioranza, ma richiede con questa un’incoffessata disponibilità a sottomettersi per essere Marilyn Mansonpreda degli altri che non vi rinunciano", quindi ai testi radicali di James Shelby Downard, autore di Regicidio 33°; Carnivals of Life and Death e di altri scritti sul cospirazionismo .

Non gli daranno mai il Pulitzer, tuttavia, chiunque si sia finora accostato alla sua musica senza pregiudizi di sorta sa di poter ascoltare una voce americana ‘contro’, un critico truccato da saltimbanco che non le manda certo a dire e punta l’indice (o il medio, preferibilmente) per additare/sbeffeggiare quella società tarata che produce incubi reali propugnando la logica abietta dell’homo homini lupus.

Fabrizio V. Giarusso

sito ufficiale: www.marilynmanson.com


 

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